Riflessione post incontro con Claudia Durasanti, a cura di Roberta Monaco
DATA: 11 Aprile 2025
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La scrittura, ovvero un processo di “ragionato istinto”
di Roberta Monaco
“Allora a cosa serve sapere, gli aveva chiesto, e lui aveva risposto che non contava quello che si sapeva, ma quanto restava in mente…”
Il 2 aprile alle 18,30 alla Libreria Laterza Le Donne in Corriera ci hanno regalato un pomeriggio magico con la presentazione del romanzo Missitalia (La Nave di Teseo, pp.440, euro 20) di Claudia Durastanti, (Brooklyn 1984), scrittrice e traduttrice dall’inglese, vincitrice del Premio Letterario Internazionale Mondello 2024, finalista nella cinquina del Premio Strega. A dialogare con lei Pinuccia Perrini, e Maria Laterza ad introdurre: non esita a definire splendida la sua scrittura, tradisce la sua emozione e lo definisce subito “un libro sontuoso”, come un buffet da cui possiamo alimentarci, un buffet con tre libri, per l’articolazione in tre parti diverse, tre storie, tre epoche e tre donne. Tre donne che portano nomi che cominciano con la lettera A, come la terra di Val d’Agri, che le unisce, dove è ambientato. Orgogliosa la Perrini di parlare di questa giovane e brillante autrice, con cui ha in comune la difficile appartenenza alla terra lucana, che ama profondamente e dove trascorreva le sue vacanze con i nonni. Terra di briganti, brigantesse, contrabbandieri, spedizioni antropologiche, ricerche petrolifere, terra perfetta per le scorie nucleari, per avventure industriali e di armamenti, terra ideale, come dirà nell’ultima parte, per diventare una base spaziale.
Il libro si divide in tre periodi storici: il periodo dell’unificazione, intorno al 1860, in cui la protagonista, Amalia, è una brigantessa/contrabbandiera di armi; la seconda parte ha come protagonista Ada, una giovane studentessa, una ricercatrice, una giornalista, una spia che dà vita ad una ‘biografia generazionale’, ed infine A, un’abitante di una base spaziale Basilicata sulla luna. Queste tre donne, spiega l’autrice, sono tre personaggi non legati da una sorellanza, o da un rapporto genealogico classico, ma in qualche modo come dei riflessi della stessa donna in uno specchio, spostato in angolazioni spazio temporali divergenti. Quindi tutto il romanzo gioca un po’ con quelli che pensiamo essere i codici, gli stereotipi o i vantaggi dei generi letterari. Amalia Spada, come nome, ha in sé ha un suono romantico, altisonante, epico, poi man mano che la storia procede, dal post risorgimentale al secondo dopoguerra, ritroviamo Ada Barbero, che riecheggia i personaggi dei romanzi del giovane Pavese, della Ginsburg. E pensando al futuro ci fa pensare a Calvino e alla rarefazione dell’identità, contrazione (nomi sempre più brevi: A), diluizione nello spazio del futuro, quindi suggerisce di trattare cioè queste donne come l’iterazione della stessa donna nello spazio e nel tempo. Anche le vicende sono ambientate in un solo luogo, terra aspra, dura, la Val d’Agri, che si fa personaggio, Madre che raccoglie e libera dall’abbraccio in nome della libertà, della sfida. L’autrice nel precedente romanzo La straniera, intraprende un’indagine familiare per comprendere come lei, figlia di una ritornata, come A torna dalla luna sulla terra, cosi come la madre torna dalla Luna, cioè gli Stati Uniti, l’America, sulla terra che era la Val d’Agri. Però non era la sua migrazione, il suo ritorno.
Per questo forse Durastanti considera Missitalia come il suo romanzo più inconscio, più intimo, che si vuole fare anche sogno, visione di modelli di coesistenza tra civiltà e natura, dove il titolo tutto attaccato (come le parole composte tedesche), è un titolo destino, indica già una mancanza, ma è anche “spia lessicale” (Miss = signorina, non ancora sposata). L’autrice è emigrata infatti a Londra e poi nel 2011 negli Stati Uniti, Roma, poi il covid e tante questioni che l’hanno trattenuta… insomma questa falsa madre (Amalia Spada) è la Val d’Agri, madre elettiva, scelta? Difficile liberarsi delle donne che si vorrebbe essere o diventare, proiezioni analitiche, madri che ritornano anche se ripudiate, ritornano attraverso la lingua, il dialetto, la sordità. La lezione di Pavese e Ginsburg sull’importanza della seconda volta, della seconda visione, ciò che si stacca ma che ci forma, ci definisce. L’abitudine può diventare fatale. Attraversare questa terra a piedi, “mapparla”, con la madre che non aveva la macchina. Avvistare i rapaci che scelgono certi luoghi per nidificare. Tanti motivi sono presenti in questo romanzo di riscatto, riscatto anche dai clichés dei manuali scolastici sempre riduttivi su questa terra, questo Meridione così nostro, così vero.
Entrare, avventurarsi nelle quattrocento pagine di questo libro, addentrarsi in questo pensiero meridionale, mi fa pensare che certi scrittori dovrebbero essere considerati “patrimonio mondiale dell’umanità”, perché hanno il dono di esprimere la loro umanità e raccontarla attraverso la Storia e le storie (oltre due secoli di storia dell’essere umano); ecco perché il ricordo di questa autrice così versatile, così internazionale e così meridionale, la complessità della sua scrittura, che sa tenere insieme futuro e passato, ti rimangono dentro per sempre.
Grazie alla socia Pinuccia Perrini per averci accompagnato in modo così sentito e profondo nel conoscere il mondo e scoprire “i magici mondi” di Claudia Durastanti.
