Riflessione post ultimo appuntamento dei Dialoghi, a cura di Roberta Monaco

DATA: 17 Aprile 2024

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17 marzo ore 11 ultimo incontro I DIALOGHI DELLE DONNE IN CORRIERA

a cura di Roberta Monaco
Il senso dello spazio
“Costruire è un significato dell’abitare”

Il 17 marzo con l’incontro dal titolo Architettura e natura: realizzare l’armonia si chiude questa sesta edizione dei Dialoghi delle Donne in corriera, che saranno disponibili fra un paio di settimane sul canale YouTube del sito.

La Presidente Gabriella Caruso si unisce ai ringraziamenti di Pino D’Onghia, ideatore e moderatore, di tutti gli sponsor, e di tutti coloro che hanno creduto in questa ormai collaudata manifestazione che tocca tanti temi importanti. A chiudere l’incontro un nome prestigioso: il professore Franco Purini, architetto, saggista e docente universitario, accompagnato dalla instancabile Antonella Prenner, che ad ogni incontro sembra portare una luce nuova, dalla Storia, e tanta curiosità nel pubblico, numeroso e caloroso, arricchito dalla presenza questa volta degli studenti del liceo Scientifico Fermi di Bari (D.S. Ivana Griseta).

Con l’intensa attività progettuale, sempre segnata da grande sperimentalità, Purini ha indagato sul rapporto tra progetto e rappresentazione, città e architettura, architettura e paesaggio; abita a Roma dove ha realizzato la Torre Eurosky, un grattacielo, il più alto edificio civile della città e una delle torri residenziali più alte d’Italia.

La prima ad essere invitata ad introdurre il dibattito sulle modalità dell’abitare è Antonella Prenner, che recupera i contenuti delle prime pagine dell’opera del grande Vitruvio, il quale traccia una sorta di storia dell’umanità. Questa lunga storia evolutiva e di progresso ce la fa ripercorrere anche grazie agli scritti di Lucrezio; si parte dal fuoco, dal sentimento umano della paura, che Lucrezio ci aiuta a superare, da uno stato felino iniziale, selvaggio ma non feroce, da tutti quegli elementi, come il vento, che sono propulsori della civiltà. Dalla fuga iniziale di fronte al fuoco, si ritorna ad uno stato di pace, di godimento, in cui il formarsi del branco è già l’embrione di una comunità che cerca nella foresta una sede stabile. Il verbo habere/abitare designa già l’idea del possesso (“abitare” è un frequentativo del verbo avere). I primi ripari, primitivi, sono fronde e strutture che delimitano spontaneamente il rapporto con l’ambiente naturale. Segue una piacevole digressione sulla storia di Romolo che, con la sua capanna, disegna l’origine di una grandezza futura. L’emissione di suoni, il linguaggio, la relazione tra uomini avverrà dopo, a dimostrare quanto comunicazione e artes ebbero un ruolo significativo nella nascita dell’architettura. Ornare la vita con il piacere estetico…

L’excursus della Prenner procede quindi sul senso dell’abitare; ad esempio nel settimo secolo, con le prime comunità intorno al Tevere, dove ideale etico ed estetico si fondono (bello estetico = buono etico). Il professor Purini ringrazia del magnifico inizio; d’altronde la paura della foresta si ritrova in tutti i trattati di architettura. Difatti “spazio” deriva da ‘patère’, ovvero essere aperto: quindi per difendersi dalle belve gli esseri umani devono fare spazio, creare spazio abbattendo gli alberi e le foreste, per poter vedere così arrivare gli animali, potersi difendere, essere più sicuri. Nel verbo c’è l’inesistenza dei confini, ma per Heidegger significa crearlo, “ è solo l’abitare che dà il suo senso al costruire”, dirà nel 1951.

La prima domanda degli studenti, sollecitati da Pino Donghi, arriva da Claudia Trono: «Come è possibile insegnare ai giovani, oggi, lo spazio estetico ed etico?». Il professore Purini richiama August Schmarsow (1853-1936), uno storico dell’arte tedesco secondo cui lo spazio, che potrebbe sembrare un concetto filosofico, è il fondamento dell’architettura, sebbene Borromini e Palladio abbiano costruito magnifiche case senza mai parlare dello spazio. E di qui parte una bellissima descrizione dello spazio, dei vincoli, dei confini, con un linguaggio semplice, pragmatico, ricco di esempi che toccano lo spazio davanti a lui, dove sono gli spettatori, la pedana, il palcoscenico, le porte. Solo nel luogo in cui l’architetto Purini sta parlando, sono presenti sette e anche più tipi di spazi, diversi, interni ed esterni, che rimettono in discussione tanti luoghi comuni o concetti acquisiti, come il fatto che gli edifici finiscano con i muri (semmai proiettano la realtà attorno). Cosa esprime la casa “magneticamente attorno”? Spesso se si vuole sentire bene un luogo bisogna attraversare i suoi limiti, che non si vedono ma si attraversano; a tal proposito Purini fa l’esempio di Piazza San Marco a Venezia. Se lo spazio esiste in relazione alla/e persona/e occorre per Purini una precisazione sulla nozione di prossemica, che ci fa comprendere meglio il senso dello spazio, il valore interculturale del termine (le diverse distanze comunicative tra le persone da un paese all’altro, in Marocco ad esempio si sta più vicini che in USA). La prossemica non riguarda, tuttavia, solo gli esseri umani: serve anche a capire le città. Sul concetto di spazio relazionale l’ospite consiglia diversi autori, come ad esempio storici italiani che parlano magnificamente del concetto di spazio: Bruno Zevi, Luigi Moretti (che fonda la Rivista Spazio). E continua con una curiosità: nessun architetto è riuscito a capire il fenomeno per cui da fuori un edificio sembra più piccolo rispetto al suo spazio interno.

Antonella Prenner riprende così la storia dei romani che parlano di spazio in termini architettonici. Infatti “è colpa di Lucrezio” che introduce il concetto di spazio come immensum e infinito… Meno male, anzi peccato che Vitruvio, capo del Genio, non era colto e non capiva la lingua greca e latina perché la visione di Lucrezio lo destabilizzava. Perciò non c’è lo spazio in Vitruvio, così come c’è assenza di spazio in Svetonio; Cicerone invece mette nel De oratore i metodi per imparare l’orazione a memoria in un ambiente diverso dalla casa, introducendo così il concetto di memoria spaziale, secondo cui cambiando gli ambienti si fissa meglio la memoria. In realtà il concetto di spazio dominante in Vitruvio è stato perso per la politica Augustea. Sono tante le curiosità (i romani costruivano un ponte e lo demolivano in una settimana), e le digressioni che raccontano la Storia attraverso le storie, storie dell’abitare lo spazio che, perdonate il bisticcio di parole, spaziano tra spazio assoluto (un involucro, o ad esempio quello del teatro dove ci troviamo, una chiesa…), e lo spazio fenomenico, ad esempio la grande scenografia che è Il Campidoglio di Le Corbusier in India. Insomma, gli edifici stanno fermi ma vivono!

Ecco che di fronte a tale narrazione colta ma accattivante per i diversi stili e la diversa formazione che ci regala uno spazio mentale sempre più ampio, gli studenti prendono la parola – e lo spazio di una poltrona – per chiedere se il concetto antico di perfezione può essere ancora attuale, e in che misura. Insomma, con la velocità del progresso e lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, «come arrivare a rieducare i giovani ad un approccio autentico all’arte, fatto di stupore e meraviglia?». La risposta sembra semplificare il problema: “noi facciamo di noi un doppio nella nostra mente. Siamo la costruzione del doppio virtuale che pensiamo di essere. Non siamo così importanti ma pensiamo di esserlo: l’intelligenza artificiale non è altro che la generalizzazione dell’immagine di noi che abbiamo”. La parte mediocre della cultura artistica è la nostra intelligenza artificiale. Ciò accadeva anche nel Cinquecento: c’erano i geni come Michelangelo e c’erano gli artigiani, i mediocri. Franco Purini interpella il pubblico: il nostro esterno come lo intendiamo? Ad esempio la Puglia è paesaggio (bellezza), territorio (strade, sentieri, porti, pozzi, canali), ambiente (come vivo questa situazione). Si tratta di decidere se c’è il desiderio di vivere un luogo, uno spazio rappresentativo, un locus, piuttosto che un luogo in cui non c’è memoria. Si pensi ad esempio ai ‘non luoghi’ descritti da Marc Augé…
L’architetto, poi, sottolinea che gli esseri umani hanno cercato di capire le strutture numeriche del mondo, che nel Cinquecento Michelangelo faceva i torsi contorti, Dürer inventava gli uomini e le donne stirati. Non vi è, dunque, un modo perfetto.

Le Corbusier, uno dei tre grandi architetti del Novecento, codifica un sistema di misurazione ma che non usava: pensiamo al suo cabanon, fatto col modulor. Non esiste un sistema assoluto e il passaggio dall’ordine al disordine è possibile. Così, Purini continua citando Palladio, forse il più grande architetto del Cinquecento, autore della Rotonda a Vicenza che, con i suoi quattro pronai, diviene straordinaria metafora della rotazione del mondo, un monumento all’inverso.

La Prenner risponde altresì sul concetto di perfezione, concetto che i romani sentivano anche come aspirazione alla perfezione, ovvero la categoria dell’emulatio, ossia prendere dei modelli per superarli. I romani erano contraddittori, potenti ma in fin dei conti restano cristallizzati in se stessi. Le strutture non sono poi tanto cambiate. Per i romani quattro secoli di differenza non erano nulla… per capire le case romane dobbiamo andare in Germania.

Il Professor Emerito Carlo Franchini, chimico farmaceutico, interviene, ponendo in risalto che il concetto di spazio è fondamentale anche nell’infinitamente piccolo. Gli atomi sono infatti costituiti essenzialmente da spazi vuoti, in cui sono presenti varie particelle atomiche, ma di dimensioni molto ridotte. Ed è significativo ricordare che gli atomi e le loro particelle si attraggono se lo spazio è grande, ma quando si avvicinano troppo tra di loro, si respingono con forza.

La chiusura è ad effetto con la lettura, rigorosamente in piedi, da parte di Antonella Prenner, dell’incipit del trattato di Vitruvio, che a distanza di duemila anni è ancora attuale ed indica, con uno stile semplice, la formazione di un architetto. La formazione richiesta, che può essere anche rivolta agli studenti, è ben lontana dalla segmentazione dei saperi, dalle iper specializzazioni che caratterizzano il nostro tempo. La formazione dell’architetto, quindi, deve essere completa e non fragmentata, non deve far perdere la visione di insieme. Il medico doveva sapere tutto, un sapere completo e complesso, dove i campi del sapere sono tra loro connessi e comunicanti. La cultura dell’architetto è una cultura enciclopedica che guida a relazionare tutte le discipline. La teoria da sola non basta. Ecco l’importanza di questi interventi, che mostrano la grande apertura mentale nell’affrontare il concetto di spazio, l’armonia tra lo spazio naturale e quello della costruzione, il continuo divenire tra l’Architettura e le necessità del genere umano nel suo vivere civile.

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