Incontro con Elvio Guagnini

Edizione 2017
LUOGO:

Ex Palazzo delle Poste - Bari


PERIODO:

6 Settembre 2017

DETTAGLI:
6 settembre 2017 l’accademico ELVIO GUAGNINI incontra Le Donne in Corriera nell’ex Palaposte alle ore 18 per parlare della “Città di carta”.
Una città d’autore - Trieste attraverso gli scrittori
Interviene RITA CEGLIE
Letture a cura di BIANCA SORRENTINO
“(…) e si ha la sensazione che tutto debba ancora cominciare, che tutto debba ancora avvenire (…)” Claudio Magris
Trieste: due anime, una città - di ROBERTA MONACO

Sono riprese le attività dell’Associazione con questo primo incontro, molto atteso, non solo perché il primo dopo la lunga pausa estiva, ma perché abbiamo conosciuto de visu il Professore “Emerito” di Letteratura italiana dell’Università di Trieste, Elvio Guagnini, che ci ha accompagnati nella visita di studio a Trieste dal 19 al 22 ottobre. Quando il professor Guagnini è arrivato nell’auletta piccola (già piena) a noi riservata, mi è sembrato di fare un tuffo nel passato. Il suo sguardo profondo e tenero, la sua “altezza”, la sua presenza, lo stile, l’età (portata magnificamente), mi hanno riportata agli anni universitari, alle intense emozioni provate alla sola visione o all’”ascolto” delle lezioni dei miei “maestri”…
E, forse – nulla avviene per caso - la professoressa RITA CEGLIE (docente di italiano e latino) saluta il pubblico e tra questi una laureanda del prof. Bonifacino che sta preparando una tesi sull’ebraismo in Svevo, invitata ad assistere alla lezione. Subito prova ad illustrare il variegato curriculum del nostro ospite, ma si rende conto che, data la vastità delle pubblicazioni e delle collaborazioni (condirettore di numerose riviste), toglierebbe spazio all’intervento. Così, si sofferma sul libro che sarà oggetto di interesse, ovvero Una città d’autore Trieste attraverso gli scrittori, DIABASIS, Reggio Emilia, 2009, 14 euro, pp.167) che nella quarta di copertina ci fa entrare già in questa città multilingue e multireligiosa. Scrive Giani Stuparich: “Dovevo scavare in fondo a me, per ritrovare un cielo in cui sciogliermi senza residui. Ho capito più tardi che il tormento e la gioia dell’arte, mai scompagnati, consistono appunto in questo scavo e in questa liberazione: una galleria che costruiamo, a rovescio, dentro di noi, per procurarci un varco nell'universo».

La vastissima preparazione di Guagnini non doveva allarmarci, precisa Rita Ceglie, perché questo incontro è stato infatti “una chiacchierata tra amici”. Anzi, ci ha fatto emozionare, e questo anche grazie alla “voce” di BIANCA SORRENTINO, scrittrice ed esperta di mitologia classica, che subito ci ha attirati con la lettura di una bellissima poesia, Trieste, di Umberto Saba:

Ho attraversata tutta la città.
Poi ho salita un'erta,
popolosa in principio, in là deserta,
chiusa da un muricciolo:
un cantuccio in cui solo
siedo; e mi pare che dove esso termina
termini la città.

Trieste ha una scontrosa
grazia. Se piace,
è come un ragazzaccio aspro e vorace,
con gli occhi azzurri e mani troppo grandi
per regalare un fiore;
come un amore
con gelosia.
Da quest'erta ogni chiesa, ogni sua via
scopro, se mena all'ingombrata spiaggia,
o alla collina cui, sulla sassosa
cima, una casa, l'ultima, s'aggrappa.

Intorno
circola ad ogni cosa
un'aria strana, un'aria tormentosa,
l'aria natia.
La mia città che in ogni parte è viva,
ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita
pensosa e schiva....


Applausi. La topografia della Trieste sabiana è “una mappa della tristezza”… Il pubblico si riscalda. Si emoziona. Reclama il libro, di cui, apparentemente, solo la “vorace”presidente GABRIELLA CARUSO, seduta in prima fila accanto a me, è in possesso. E mi lascia sbirciare… Un percorso immaginario che si snoda sinuoso tra le pagine di una letteratura che vede voci importanti come quelle di Italo Svevo, Umberto Saba, Scipio Slataper, Giani Stuparich, Pier Antonio Quarantotti Gambini, Stelio Mattioni, Fulvio Tomizza, Claudio Magris, e tanti altri. Ma, state tranquilli: sono in arrivo le copie per tutti, così anche la lettura di questa raccolta di saggi, sarà propedeutica alla visita organizzata dalle Donne in Corriera. Il nostro futuro accompagnatore, esperto studioso e conoscitore del milieu culturale di quella “città di carta” che è Trieste, la definisce subito come una città particolare, “con due anime”, e sono proprio gli scrittori che l’hanno “attraversata”, che ci fanno penetrare dentro quest’animo multiforme. A cominciare da Saba, che già dall’uso di pseudonimi, inevitabilmente ripropone il tema dell’identità. E così Rita Ceglie, dopo averci parlato di Umberto Saba con la precisione e erudizione che la caratterizza, orienta la prima domanda su Trieste, definita da Slataper “osservatorio dell’inquietudine dei moderni”…

Il saggista ci precisa subito la fonte della citazione, una lettera importantissima dove spiega cos’è il poeta, che non è il letterato, l’erudito, ma qualcuno che vede lontano, che deve saper fare propri, sapere introiettare, comprendere i contrasti del mondo. Il poeta fa proprie le contraddizioni della realtà, le conflittualità. E la città di Trieste riposa proprio su queste conflittualità, su questi contrasti: commercio e letteratura, salotto (mondo borghese) e città vecchia (anzi “vecia”, dove si trovano i lavoratori), carso e lastricato (città e campagna), italiani e sloveni. Un bel nodo, in cui c’è tutta la storia di Trieste. Pensiamo ai conflitti etnici che possono essere una disgrazia se portano ai nazionalismi e alle guerre. Ancora in questi giorni ci sono state reazioni e polemiche sui quotidiani per l’annuncio della Ministra dell’Istruzione Fedeli di introdurre corsi di sloveno nelle scuole (perché non studiare il cinese?Qualcuno ha detto). Il professore non manca di aprire digressioni interessanti su articoli comparsi (su Repubblica del 5.09.17) a firma di Paolo Ruiz ad esempio, che ci aiutano a capire meglio la storia della città. Poi inizia un excursus diacronico sulla storia di Trieste, le problematiche, il suo sviluppo, l’enorme incremento di abitanti ( oggi duecentocinquemila) e di immigrati, e un senso di colpa o quasi, per non aver sviluppato la “sua” arte. Autori come Domenico Rossetti e Slataper hanno lamentato proprio questo. Slataper (Il mio Carso), era entrato in contatto negli anni universitari con i giovani letterati italiani che ruotavano attorno alla rivista La Voce fondata da Giuseppe Prezzolini, a cui collaborò assiduamente, pubblicando numerosi articoli. E le Lettere triestine sono una serie di articoli pubblicati su “La Voce” nel 1909. In questi scritti, molto critici e che molto fecero discutere, Slataper analizza la situazione culturale della Trieste dell'epoca, che ai suoi occhi si presentava senza «tradizioni di coltura». La borghesia che governava la città giuliana, poiché politicamente si trovava sotto l'impero asburgico, basava la propria "italianità" oltre che su elementi etnici, soprattutto su motivazioni di stampo culturale. L'accusa venne dunque percepita come grave e venne rifiutata con sdegno dalla classe dirigente triestina, che vide in Slataper un traditore della causa dell'italianità di Trieste.

Ma la parte più intrigante della conversazione è quella fatta di aneddoti personali, ricordi “letterari” che ci fanno comprendere autori come Saba, o urbanisti come Enzo Godovi che ne traccia le architetture, fa risalire alle case del 1938, al monte ebraico, alla casa natale di Saba, alla piazza San Giacomo, alle targhe che non ci sono più. Il nostro relatore si definisce un positivista e cerca sempre la testimonianza. Ed ecco che c’è anche una Trieste povera, sudicia, maleodorante, ributtante, quella degli umili, dei marinai, dei friggitori, i poveri venditori, il mondo ruffiano, l’umanità vera, quella raccontata ad esempio da poeti come Virgilio Giotti, il poeta della povera gente, che scrive Colori in dialetto triestino. A tal proposito si richiama Pasolini, uno dei più bei saggi, “La lingua della poesia”. Ci sono scrittori di serie A e di serie B? Quello che conta è la lingua che usano. E forse per questo Mario Fubini ha fatto vincere a Giotti il premio dell’Accademia dei Lincei. E forse per questo il professore ci vuole leggere personalmente una poesia nel dialetto della lingua triestina (En zima de Montebello). Lui ha gli occhi lucidi, e forse anche noi. Perché, come ha scritto Alessandro Mezzena Lona “Dai testi di Guagnini emerge il ritratto di un amore indissolubile: quello di Trieste per i libri e per gli scrittori, una Trieste che parla al mondo e dove il confine geografico della città di carta si allarga a dismisura. Partendo da punti di riferimento precisi: Italo Svevo e la sua capacità di dare voce alla malattia dell'uomo moderno, all'inquietudine di chi ha abitato il Novecento”. Trieste rispecchia dunque una poliedricità soprattutto nella sua letteratura, è in realtà una città dalle tre letterature: quella italiana, quella slovena e quella tedesca, come scrive Valentina Nuzzaci (cfr. Gazzetta 6.09.2017, Ma è Trieste la vera porta dell’Europa). Sono tre mondi dalle forti connotazioni linguistiche, tradizionali, culturali e che oggi finalmente vengono studiate come parte di un qualcosa di unico. “Un’interezza che è la sola prospettiva dalla quale bisognerebbe osservare questa città. Oggi finalmente l’editoria nazionale volge il suo sguardo alla vera Trieste, città che ha prodotto poesia, saggistica e prosa da tre diversi punti di vista letterari”. Inoltre ha saputo anticipare molte tematiche e problematiche su cui oggi l’Europa si interroga, ad esempio le minoranze linguistiche, o meglio “comunità linguistiche”, visto che a Elvio Guagnini non piace parlare di maggioranze e minoranze.

Tornando su alcuni degli scrittori di questo interessante volume, è su Svevo, narratore e scrittore di analisi, che si sofferma l’attenzione, per soddisfare la curiosità dell’intervistatrice:”la Trieste scontrosa di Saba è diversa da quella di Svevo? In aiuto una breve e intensa pausa con magistrale lettura da parte di Bianca Sorrentino di un passo bellissimo, tratto da Senilità. Svevo, scoperto da Montale, nel suo libro racconta una storia diversa sul piano del gusto del colore, dove impressionismo ed espressionismo si fondono. Romanzo di analisi, con grande precisione nei dettagli e sul piano topografico, una precisione assoluta, da naturalista, ma che riesce a far “sentire dell’altro”. Forse è proprio questa la differenza tra scrittori di serie A e di serie zeta.

Crescere a Trieste allora significa vivere in una “città di carta”. Poter parlare di colori, di “quel disguido generale che è il mondo” (Claudio Magris). Tra gli autori che hanno amato molto Trieste vi è Claudio Magris, amico di Guagnini, che a Trieste ha incontrato persone (al Caffè San Marco), in quel caffè che è “una specie di ospizio per indigenti del cuore”; Guagnini si perde così ancora nei racconti di gioventù e ci narra di una sorta di “geografia dei caffé”, i caffè mitteleuropei che avevano un’aria e colore particolare, ognuno con una specialità, come a Vienna. Poi le numerose osterie, come quelle del rione intorno a piazza San Giacomo, che ne disegnano la storia proletaria, dove si sentivano i canti e dove, come nei racconti di Saba, troviamo gli “avvinazzati”…
E poiché sono già le 19,40, si decide di chiudere con una poesia, ancora di Saba:

La foglia

Io sono come quella foglia - guarda -
sul nudo ramo, che un prodigio ancora
tiene attaccata.

Negami dunque. Non ne sia rattristata
la bella età che a un'ansia ti colora,
e per me a slanci infantili s'attarda.

Dimmi tu addio, se a me dirlo non riesce.
Morire è nulla; perderti è difficile.


E sarà difficile perdersi questo viaggio perché Trieste è una città italiana in maniera diversa da tutte le città italiane, potremmo concludere con Slataper. Speriamo che nessuno tolga a questa città quello che nessun’altra ha e che è proprio la sua potenzialità.

Gli stimoli sono tantissimi. Si cerca di dare spazio a qualche intervento, ma è tardi e il professore prova a rispondere almeno ad una domanda del pubblico (Amalia Mancini), a proposito dei caffè e se erano presenti le donne all’epoca. Risposta affermativa. E questo alle “donne” in Corriera non può che far piacere. Come la piccola corriera di legno con il logo dell’Associazione che la Presidente dona con la borsa al professor Guagnini, che la aggiungerà alla sua collezione, fra i ricordi… positivi. Ed è solo l’inizio.

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