LATERZIANE ultimo incontro 14 MAGGIO 2016 a cura di ROBERTA MONACO
DATA: 29 Maggio 2016
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LATERZIANE ultimo incontro 14 MAGGIO 2016 a cura di ROBERTA MONACO
Scrivere questo ultimo articolo per restituire ai lettori (in contumacia) l’ultimo affascinante incontro, affascinante non solo per i contenuti ma anche per lo scenario in cui ce li ha presentati: il Fanale Rosso del Molo Borbonico, “un luogo che sento mio per averlo riportato a nuova vita” dice l’autore, il nostro vero autore, VINCENZO SASSANELLI, mi sembra impresa ardua. Ma voglio farmi condurre da questo navigatore esperto e decido di intraprendere il viaggio. Per ora, solo “letterario”, poi, chissà, anche per mare, insomma, geografico, per riprendere il tema da cui eravamo partiti: la geografia. Vincenzo Sassanelli, l’ingegnere, SAX per gli amici, ci accompagna in viaggio per la Grecia, per le Isole Ionie, che ama, e dove ogni anno trascorre in barca le sue vacanze, il suo mese di vacanza, come precisa agli amici presenti. Non ci parlerà dei siti della terraferma, che pure meriterebbero qualche parola, ma di quei luoghi, soltanto isole che, dopo tanto tempo, continuano a “graffiare il suo animo”: distese verdi, con picchi montagnosi imponenti, fino ai 1628 metri del monte Enos, specchi d’acqua che si fanno accarezzare da tutte le sfumature del celeste e del blu, ricchi di fauna ittica, e che a terra hanno colori e profumi intensi pronti ad avvolgere sia il turista che gli ospitalissimi abitanti.
Ci presenta Uascezz, la sua barca attuale, un Dufour 385, (del 2005), il suo Comandante, e…chi comanda il Comandante! Le foto parlano meglio e ci fanno sorridere. Subito una carta nautica ci riporta alla vera geografia di questi luoghi – le isole ioniche – che si estendono da quella più vicina all’Italia Fanòs o Othoni (circa 40 miglia a Sud Est di Otranto ed alla latitudine di Santa Maria di Leuca) alla più lontana Zante o Zakynthos (distante circa 180 miglia nautiche da Crotone ed alla latitudine di Catania). Due arcipelaghi: le Ioniche del Nord o Diapontie, Fanòs, poi Merlera o Erikoussa, Mathraki, Corfù, Paxos e Antipaxos. Scendendo, poi, si arriva a Lefkada che costituisce la porta di ingresso a quello che noi chiamiamo il mare della tranquillità. La ragione di questo nome sta nel fatto che, per via delle condizioni geografiche, anche con vento teso, non si formano mai onde molto alte. Di qui continuando verso sud, ci si trova nell’Eptaneso costituito dalle isole di Lefkada, Meganisi, Kalamos, Kastos, Itaca, Cefalonia e Zante, oltre ad altre piccolissime isole, disabitate. In realtà tra queste c’è anche Citera, peraltro ignota al nostro comandante di navigazione.
Fanòs, un’isola molto ventosa, è l’isola più vicina all’Italia, a sole 42 miglia nautiche da Otranto (poco più di 75 chilometri). La brezza termica e la conformazione delle sue montagne rendono spessissimo la sosta in porto, ad Ammos, difficoltosa. Mare bellissimo, si può tranquillamente fare il bagno in porto ed è vivamente consigliabile una sosta a terra alla taverna Anthonis dove si possono gustare piatti di mare ed aragoste e cicale freschissime. La leggenda racconta che Othonì ha avuto un ruolo nella mitologia omerica. La grotta, detta proprio della baia di Calypso, è un’insenatura sotto il faro più piccolo all’estremo sud dell’isola. Si dice sia il luogo in cui Calypso stregò Ulisse e lo tenne prigioniero per tanti anni.
È un luogo bellissimo, cantato già da Omero che, nella traduzione di Ippolito Pindemonte, la descrive in tutti gli aspetti, terminando la descrizione con la considerazione che: “Questa scena era tal, che sino a un Nume non potea farsi ad essa, e non sentirsi di maraviglia colmo, e di dolcezza”. In verità, nonostante la sua bellezza, questa è l’isola che il nostro relatore ama di meno. Forse perché sempre al suo arrivo è accolto da vento molto teso? Basta, allora, fare rotta su una piccola chicca, Merlera. Il suo porticciolo è piccolo e difficilmente vi è posto in banchina, ma è ben ridossato dai venti dai quadranti settentrionali e, quindi, è praticabile per quasi tutto il periodo estivo. Il suo baione meridionale è un luogo incantevole di un acqua limpida e fresca. Non si può mancare, a terra, alla cena da Maria. Splendide cicale greche o aragoste e piatti tipici preparati in maniera superba. Qui dobbiamo accontentarci delle foto…parlanti!
Quest’isola, appartata, boscosa, tranquilla anche in alta stagione, è l’esempio di una Grecia autentica e spartana, dove si respira ancora un’atmosfera arcadica. Di essa si ritrova traccia nei, purtroppo guerrafondai, versi del D’Annunzio, nella canzone “Non nobis domine – M.A.S. 96” che recita: “Da Lussin alla Merlera, da Calluda ad Abazia, Per il largo e per il lungo torneremo in signoria D’Istria, Fiume, di Dalmazia, di Ragusa, Zara e Pola. Carne e sangue dell’Italia”. I venti dai quadranti settentrionali, prevalenti nella bella stagione, sono propizi e, levata l’ancora, la famiglia Sassanelli inizia a guadagnare miglia verso sud: rotta su Corfù, l’isola più nota, paradiso turistico fin dagli anni ’60 dello scorso secolo. Sul lato occidentale incontriamo Afionas, nella parte Nord-Ovest dell’isola, un promontorio tra due baie, Arillas e Aghios Gheorgios, con vista su Mathraki, Othoni e Erikoussa, colori che variano dal celestino chiaro al blu, al verdone ed al giallo. Vi si arriva, da Nord, per una strada sterrata che passa in un meraviglioso bosco di ulivi secolari. Un luogo magico che al tramonto si riempie di un colore rossastro intensissimo che vede il sole declinare lentamente ed immergersi nell’azzurro del mare. Consigliabile recarcisi di pomeriggio e attendere il tramonto gustando un mezè in compagnia di buoni amici, o, meglio ancora, di un partner in grado di fare esaltare le emozioni che la natura riesce a trasmettere. La presidente acconsente.
Corfù ha un unico porto sul lato occidentale, Paleokastritsa, in approccio ad esso si vede, già da lontano, sul promontorio, il monastero. Alle sue spalle una imponente chiostra di monti. La spiaggia di Ermones, qualche miglio più a sud, è il fascinoso luogo dove — secondo il poema omerico — è avvenuto l’incontro tra il naufrago Ulisse e Nausicaa, la figlia di Alcinoo, re dei Feaci. Ed è lì che Nausicaa avrebbe preso per mano l’eroe di Itaca per condurlo alla reggia paterna, descrivendogli le bellezze della città dei Feaci, stretta tra «due porti gemelli».
Lasciati gli ormeggi e facendo il periplo dal nord si può apprezzare come Corfù, in greco Kerkyra, sia tra le più suggestive isole della Grecia. Racchiude nelle sue forme naturali l’idea della bellezza e della forza: gli ideali dell’uomo politico della Grecia antica. Rifugio potente e sicuro per la gente del mare, quest’isola, con le sue improvvise alternanze dì baie dolcissime e di dirupi scoscesi che si tuffano a perpendicolo nel profondo blu del mare, affascina il turista e lo spinge a creare sinapsi tra i motivi naturali del panorama e la descrizione del quinto libro dell’Odissea.
Mi piace la passione e la curiosità che ci trasmette Vincenzo nel raccontare, con i dettagli, ogni luogo, penso alla descrizione del lato orientale, Kerasia, ridosso al quale è affezionato e che, ogni anno, è la base di partenza per la risalita in Italia. Sa di far torto a tanti splendidi luoghi che si succedono dalle bianche scogliere settentrionali fino al baione delimitato da Kerkyra, Ipsos e Kalami, ma, per dirla con Plutarco, navigare necesse est.
Scendendo, quindi, verso sud si arriva a Kerkyra città, affascinante insediamento veneziano, con un bellissimo castello affacciato sul mare. Pochi scalini e ci si trova nell’affollato e vivacissimo centro città, luogo di storia, cultura, tradizioni, ma anche caratteristico ritrovo di turisti in preda a crisi di shopping o solo alla ricerca di una buona taverna. La Spianada, dove, ancora oggi, si gioca a cricket, è simulacro dell’influenza inglese. Significativo ricordare il soggiorno in questa città di Dionisos Solomos, il poeta nazionale greco, che qui trovò ispirazione e che qui fondò la così detta Scuola Ionica, cui si deve la attuale lingua greca. Fu infatti il dibattito in seno ad essa che fece prevalere, due secoli fa, il Dimothichì, la lingua volgare, sul Katharevousa, l’idioma basato sul greco antico.
Il tempo scorre, è ora di rimettersi in viaggio alla volta di altri due luoghi del cuore, sebbene non molto conosciuti. Il primo è la meravigliosa spiaggia di Mirtiothissa, sul lato Ovest, una stretta lingua di sabbia e scogli dai colori chiari e pastello, posto alla base di un alto e scosceso dirupo ove ulivi e macchia mediterranea si alternano in un equilibrio di colori ed odori. Vi è chi pratica il naturismo, ma il pezzo forte sono la taverna posta sull’estremo Nord, un pezzo di Grecia degli anni ’40, e soprattutto il piccolo residence turistico, isolato da ogni forma di antropizzazione, immerso, in un silenzio irreale, tra gli ulivi…
Ultima tappa corfiota, a Sud-Est è Petriti, piccolo villaggio di pescatori, con due sole taverne sul mare ed un molo “a pennello” in cui i posti buoni per le barche a vela sono solo 5 o 6. Piace perché è fuori dai circuiti turistici. Un vecchio pescatore, in una lingua inesistente, mista di greco e spagnolo, racconta, ma solo a chi gli è simpatico, le sue gesta di pesca, forse un po’ esagerate nell’antico ricordo, e prevede il tempo in maniera precisissima, riuscendo persino ad anticipare l’ora in cui avverrà un dato fenomeno. Lo troverete, dice Vincenzo, sempre a rinacciare le proprie reti, vicino alla sua barchetta a remi dai colori vivacissimi. E se dovesse entrare in empatia con voi – continua – vi regalerà qualcosa del suo pescato, non attendendosi nulla in cambio, se non un caffè, o un buon bicchiere di vino. “Non tentate di regalargli una intera bottiglia, con quella umiltà e fierezza del suo volto mediterraneo scavato dal sole e dalla salsedine, riuscirà a convincervi che non vuole nulla in cambio del suo pesce”. Il suo dono è figlio della antica cultura dell’ospitalità delle genti greche, molto sentita in questi luoghi. Il viandante, o il marinaio, per questa popolazione è sacro. È fratello o figlio.
Volgiamo ora la prua verso sud e con un salto, sempre facilitato dai venti propizi, veleggiamo alla volta dell’isola di Paxos, una piccola perla da vivere in tutti i mesi dell’anno tranne che in Agosto, quando è meta di moltissimi, direi troppi, turisti che non ne esaltano di certo la grande bellezza. Paxos, dal fenicio Pax, ardesia, voleva connotare, fin dal nome, quest’isola come pietraia, e tale, infatti, era il suo stato fino alla dominazione veneziana, quando gli abitanti dell’isola furono incentivati a trasformare la loro terra in un grande giardino. Fu promesso un premio in denaro per ogni albero piantato e, così, tutta l’isola è diventata, da brulla che era, un rigoglioso angolo verde dove boschi – di ulivo per lo più – si avvicendano alla residuale macchia mediterranea. La mitologia vuole che il dio Poseidon abbia generato quest’isola colpendo Corfù con il suo tridente, in modo che lui e sua moglie Amfitrite potessero restare in pace e rilassarsi. La prima meta, a Nord, è il paesino di Lakka, sorto su un baione chiuso da uno scoglio. Tipicamente frequentato in maggioranza da inglesi e turisti nordici offre un ridosso non comodissimo ai venti provenienti dai quadranti settentrionali, ma in compenso vive un affollamento minore ed una moltitudine di locali carini ove vi è la presenza anche di qualche bravo artigiano locale.
Prima di arrivare a Gaios, il capoluogo, per il nostro comandante Sax è opportuno, anzi obbligatorio, effettuare una sosta per così dire “tecnica” a Manadendri. Bellissima spiaggia con ulivi che arrivano fino a mare essa ha la particolarità di avere una installazione balneare, ad accesso gratuito, di livello europeo con una taverna a pochi passi dal mare dove si può gustare una cucina ottima. Una sosta tipica prevede dei divini spaghetti all’aragosta (megaporzioni!). Ci mostra, ritratta in foto, una delle sue numerosissime tappe a questa taverna gestita dal suo amico Gheorghios, un quarantenne strafottente e con un grande cappellone, che, al contrario di tutti i ristoratori greci, alle 19 chiude baracca e burattini e va a godersi la vita in uno dei numerosi kafenion di Longos.
Qualche miglio più a Sud entriamo nel porto canale di Gaios, posto “invero ameno”. Il porto è stretto tra l’isola stessa e l’isola di San Nicola. Molto suggestiva l’entrata del porticciolo, un ventre di vacca entro il quale l’unica risacca possibile è quella determinata dal moto ondoso provocato dalle barche in movimento. Su Gaios, che brilla sotto il profilo culturale per avere ospitato il vescovo e cronista Liutprando da Cremona, nel decimo secolo dopo Cristo, tra la miriade di aneddoti, il narratore ci ricorda solo quello di quando l’idrovolante che lo collegava alla terra ferma ammarò, esattamente lungo la loro rotta, a non più di venti metri dietro la barca che era impegnata, invece, in un pacifico ingresso all’interno del porto. “I primi momenti di dubbio lasciarono, ben presto, il posto alla paura, e, alla fine, pur sollevati dal mancato impatto, non dimenticammo, scampato il pericolo, di ricordare al pilota moltissimi, se non proprio tutti, i suoi antenati, senza far alcuna distinzione tra viventi e defunti”.
Arrivati a Gaios ci consiglia di fare una escursione via mare alle grotte di Ypapanti o di Poseidone, perle di rara ed incontaminata bellezza, ovvero, via terra a Erimitis per gustare uno dei più bei tramonti in un bar ristorante accogliente e ben frequentato.
Sulla rotta che porterà poi in Eptaneso, l’ultima fermata nelle Diapontie è d’obbligo ad Antipaxos nella baia di Vouthumi. Anche ad Agosto, intorno alle 10 di mattina, si è in pochissimi. È il momento giusto per una bella nuotata e per gustare uno specchio acqueo di infinita bellezza, una delle dieci spiagge più belle al mondo, un paradiso il cui ricordo ritempra lo spirito nelle fredde e grigie giornate invernali. Da non tralasciare, nonostante si debbano scalare più di 200 scomodi gradini immersi tra le frasche, di giungere fino alla Taverna Bellavista, dell’amico Dyonisos. Il posto merita una sosta che in breve diverrà contemplativa e meditativa. Il panorama è estremamente suggestivo ed induce rilassatezza. Imperdibile. Mentre lo sguardo si perde lontano, si può ordinare un genuino yaourti me meli me fruta e chiudere gli occhi per immergersi ancora di più in una atmosfera che ci riporterà indietro di qualche migliaio di anni, con lo stesso panorama, lo stesso cibo, gli stessi suoni e gli stessi odori dei nostri padri ellenici.
Con un salto di circa 30 miglia si giunge alle porte dell’Eptaneso. Ed ecco il castello di Aghia Mavra, fortificazione angioina del 1300
L’ingresso avviene per uno stretto canale, di non facilissima percorrenza, almeno le prime volte, che ha la particolarità di aprirsi, alle imbarcazioni, per cinque minuti, allo scoccare dell’ora, dalle 6 alle 22.
Aneddoti su questo passaggio ce ne possono essere tanti ma i più gustosi sono due: quello avvenuto una sera all’ultima apertura. Non posso che riportare ancora le sue parole:“Ero comodamente al ristorante ed avevo la radio portatile VHF accesa, come usavamo di solito per avere notizie dei figli quando erano piccoli. Sento due motoscafi che all’imboccatura sono in difficoltà e cercano l’un l’altro di darsi consigli. Sono intervenuto e nonostante fossi a chilometri di distanza, in pieno centro, li ho pian piano guidati fino al passaggio finale. Inevitabili i ringraziamenti ed un gustosissimo “ma chi ti ha mandato, la maronna!” di uno dei comandanti delle imbarcazioni, evidentemente napoletano. E l’altro episodio riguarda un caro amico, ottimo marinaio, un po’ sbruffone, ma molto simpatico, che, pur avvisato che stava andando a finire sulle secche, ha risposto malamente alla radio. Due minuti dopo era arenato nella sabbia, tra le risa e gli sghignazzi di quei compagni che, poi, si sono adoperati per tirarlo fuori. Risultato: cena offerta tra le risate generali e sfottò salaci”.
Vincenzo non tralascia gli spunti letterari. la sua formazione classica riaffiora di continuo. Ne approfitta quando parla di Lefkas, nota anche perché la leggenda vuole che la poetessa Saffo si sia uccisa gettandosi da una rupe, oggi chiamata il salto di Saffo, sita nell’angolo Sud-Ovest, vicino alla impareggiabile spiaggia di Porto Katsiki. La poetessa si uccise per l’amore non corrisposto che nutriva nei confronti del giovane battelliere Faone, che in realtà è un personaggio mitologico. Tale leggendaria versione è ripresa anche da Ovidio, nelle Eroidi, e da Giacomo Leopardi nell’Ultimo canto di Saffo.
Scendendo e sorpassando l’isola di Skorpios, una chicca purtroppo oggi non più praticabile, ci si trova di fronte alla testa dell’isola di Meganisi. Il nome gli è stato dato dagli abitanti delle isole maggiori e sa di scherno, essendo essa ben più piccola delle altre isole. Meganisi è tutta bella, piena di insenature ed ognuna di queste è un buon ridosso. L’isola era anticamente abitata dai Tafii, discendenti di Tafio, figlio di Poseidone, pirati ed ottimi navigatori, tanto che Ulisse affidò le sue navi a Mente, re dei Tafii. Le mete preferite su quest’isola dal nostro nocchiero sono Vathi, dove c’è il suo amico Stavros che, non appena ormeggia vicino alla sua taverna, gli porta in barca una bottiglia di birra e, poi, lo invita a terra a sedere con lui intavolando lunghe chiacchierate in un misto di greco italiano ed inglese. È stato contrabbandiere nel napoletano, macellaio, sindaco del suo paese ed oggi combatte da mane a sera con i clienti cui serve, tra l’altro, delle deliziosissime costolette di agnello alla brace.
Per un bel bagno basta fare pochissime miglia e recarsi nella vicina baia di Porto Atheni, ove le cime a terra di ciascuna barca delimitano la propria esclusiva piscina naturale di un celeste che tocca il cuore.
Prima di lasciare definitivamente Meganisi, alla sua punta Sud, una sosta con bagno, è, per Sax, di rigore alla falesia di Akros Kefali, quella che si potrebbe chiamare la viennetta per la conformazione quasi verticale degli strati sedimentari della roccia. L’acqua è così trasparente che si distingue nitidamente il fondo a 10-12 metri.
A questo punto, tralasciando le isole disabitate di Arkudi e Atokos, pur segnalando che in quest’ultima si distingue la bellissima baia di One house bay, e proseguendo verso Est si giunge alla verdissima Kalamos, aspra e montuosa, larga al massimo meno di 3 km, ma con un picco che arriva ad oltre 800 m s.l.m., ove il folto pineto giunge fino a riva. È un porto sempre affollatissimo in agosto, ma rifugio sicuro e tranquillo dove il buon Yorgos, che di mestiere fa il ristoratore, in piedi sul suo barchino, calzando un cappello a falde larghissime, obbligherà i viaggiatori a ormeggiare nella maniera in cui personalmente decide. È l’isola del famoso bacio tra Aristotile Onassis e Jacqueline Kennedy. Impervia, con una montagna alta e ripida che genera un vento catabatico in grado di temperare il gran caldo rilasciato dalla terra nelle ore serali. Anche qui vi sono delle belle falesie calcaree che si specchiano su acque limpide e cristalline.
A sera per cena un salto proprio da Yorgos, sul porto, o, dopo una ripida salita, al macellaio della piazzetta del paese ritemprano gli stomaci e favoriscono tavolate lunghe ed abbondanti libagioni. Qui, durante una delle estati in cui era Presidente del Consiglio, Sassanelli ha incontrato Romano Prodi in vacanza nell’isola.
Al mattino dopo, il mare è usuale che si presenti assolutamente immobile, animato, solo in qualche punto, da animali acquatici che saltano e formano piccoli centri concentrici. Si fa rotta verso la vicinissima e dolcissima Kasthos.
Anche qui fondali cristallini incorniciati da falesie bianche alte un centinaio di metri a picco sul mare. In questa isola non vi sono automobili o mezzi a motore e non si può lasciare l’immondizia. L’unico collegamento con la terraferma è rappresentato da un piccolo barcone che, il più delle volte, trasporta pile di foraggio per gli animali, alte 3, 4 metri.
Il racconto di Vincenzo si fa sempre più…emotivo:“facciamo ora rotta verso Ovest sull’isola che più di tutte è un pezzo del mio cuore. Itaca. Itaca, per me, non è solo un’isola bellissima. La definisco spesso un luogo dell’anima… Riserva sorprese e stimola ricordi. Ha il fascino della patria di Ulisse, l’immortale simbolo della fame di conoscenza. Qui Ulisse, nella grotta delle Ninfe, opportunamente consigliato da Atena, nascose il tesoro regalatogli da Alcinoo, re dei Feaci. Poi compì la sua vendetta e tornò ad una vita normale. Ad essa è dedicata una delle più belle – o forse la più bella – poesia del 1900. Konstantinos Kavafis, in poche parole ha descritto il senso da dare alla vita. E ad Itaca, spingendosi nell’interno è facile capire perché”.
È il luogo dove si possono trovare scene che ci mostra con brevi ma intense riprese video, dove fermarsi a parlare con un pastore certamente significa accettare un piccolo pezzo di pane con il formaggio ed un bicchiere di vino. È l’isola dove un salto a Frikes o a Kioni è d’obbligo per gustare una cucina di altissimo livello. Ma dove l’imperdibile vista mozzafiato che si gode dal monastero, proprio come descritto nella poesia di Kavafis, è solo il pretesto per addentrarsi e scoprire il crinale stretto tra due mari, i caratteristici mulini a vento, l’odore del mirto, i paesaggi emozionanti o solo i volti rugosi e mediterranei di sereni vecchietti seduti ad un tavolino, intenti a sorseggiare senza fretta un bicchiere di ouzo, mentre, affabili nei modi, giocano ritmicamente quasi senza accorgersene con il komboloi. “ Pezzi di un mondo per noi perduto che sopravvivono incuranti delle rivoluzioni tecnologiche e della nostra fretta, uguali a quello dei loro padri ed a quello dei padri dei padri dei loro padri.”
Itaca è anche mare, però. Ma non solo. continua il nostro affabulatore. I porticcioli sono molto ventosi in alcune ore della giornata e, talvolta, mettono a dura prova chi naviga ed ancora più a dura prova chi vuole ormeggiare. Alle 22.00, però diventa tranquilla, calda ed accogliente. Da Poseidon, a Vathi, dal suo amico Dyonisios, si può trovare una pizza di cipolla (kremidopita) che, Absit iniuria verbis, è perfino più buona di quella di… sua madre.
Ad Ovest di Itaca vi è l’isola di Cefalonia, la più grande dell’Eptaneso; famosa per avere dato i natali allo scrittore Andreas Laskaratos, all’archeologo Spyridon Marinatos, l’uomo di Atlantide, ed al poeta Babis Anninos. In Italia la ricordiamo per l’eccidio della divisione Acqui, nel giorno dell’armistizio dell’8 settembre 1943. Multiforme e varia permette di passare dagli scorci mozzafiato alla affollata Argostoli, dalle spiagge dorate di Lizouri a quelle infinitamente lunghe di Scala. Ed un salto non si può non fare alla spiaggia di Myrthos o a Fiskardo, la Capri dello Ionio.
Fra tutti i luoghi, ciò che gli solletica l’animo è il paesino di Assos, dominato da un castello veneziano del 1500, arroccato su un piccolo istmo, vivace e vero nonostante il turismo. Ma Cefalonia è molto grande e merita una discorso a parte.
È tempo di andare ad effettuare l’ultima tappa e prua a Sud veleggiamo, quasi sempre col vento al lasco, in direzione di Zante. Luogo nativo di Solomos, cantata da Byron, che vi si unì agli insorti contro il dominio ottomano, e da Foscolo, che qui vi ebbe i natali, è l’isola più a Sud e meno affollata. È nota per la baia Sud, la paesaggisticamente quasi insulsa Laganas, nota per la riproduzione delle tartarughe, mentre a Nord Ovest riserva dei posti invero eccezionali. Porto Vromi, le grotte, e la spiaggia del relitto faranno vivere una giornata eccezionale. Con particolarità naturalistiche di grande valore ed impatto come le alte falesie a picco sul mare celeste o azzurro e la linea di cambio colore del mare netta, quasi fosse colorata da mano umana.
Mentre scorre le sue oltre 40 diapositive, stuzzica il nostro appetito con le note ed imperdibili cipolle dal diametro esagerato che va dai 20 ai 30 centimetri, e per l’uvetta di Zante, e ci consiglia un giro al suo interno. Percorrendola non sembra di essere su di un’isola, precisa. Una grande valle pianeggiante con un paesaggio bucolico si apre al centro dell’isola con filari di vite da cui si ricava una uva passita dolcissima e pregiatissima. Ed il bello non è finito qui. Piccoli borghi accoglienti ed ospitali sono pronti a ricevervi ed a farvi sentire ospiti speciali. Ed ecco un altro ricordo-digressione: “Come quando un giorno di ferragosto, capitato di sera in uno di questi villaggi di campagna, durante la usuale festa in onore della Madonna, il sindaco del paese, notati questi stranieri, ci ha invitato al suo tavolo (uno di quelli che ciascuno degli abitanti, rigorosamente, aveva portato da casa propria ed aveva agghindato con le migliori tovaglie di pizzo pregiato) a mangiare e bere ed ha fatto suonare al complessino della musica italiana in nostro onore. È finita con un improbabile sirtakì ballato insieme da noi e dai greci”…
La crociera è terminata, e, per chiudere, Vincenzo ci racconta ancora di come si può passare il tempo e di qualche incontro particolare, ma non isolato! Una bella foto ci mostra pesci e giochi cui il nostro marinaio-ingegnere non si sottrae… insomma, anche il gioco vuole la sua parte.
Inoltre è solito fare divertire gli ospiti con un bagno particolare e migliore del migliore degli idromassaggi! Salvo poi coinvolgerli in piccoli lavoretti necessari alla vita quotidiana, o impegnative performance occorrenti non solo alla sopravvivenza fisica, ma anche a quella spirituale, o contemplativa… talvolta favorita dall’odore della frittura dei panzerotti, poi mangiati sulla barca vicina, di un amico barese, o dei gustosi pieni e colorati ricci che si pescano “a secchi” ed anche in acqua bassa, senza disdegnare ostriche imperiali e taratuffi, o polpi di varia pezzatura che, però, hanno il difetto di dovere essere sbattuti ed arricciati, fino ad arrivare a quelli emozionanti, ma frequenti, con le stelle marine! Le foto anche qui, sono molto meglio delle parole. Il fiato si blocca davanti all’immagine viva (siamo alla 52esima diapositiva!) di quelle meravigliose creature acquatiche che sono i delfini…
Ma capita anche di essere benvoluti dalla sorte ed incontrare una tartaruga, o una rara coppia di squali. In verità un paio di estati fa, nel canale d’Otranto, ci dice di aver avvistato due balenottere, ma non ha fatto in tempo a prendere la macchina fotografica o il telefonino per immortalare l’attimo!
L’avvistamento più importante raro e difficile è stato quello della foca monaca. E la Monaco, che sarei io, a questo punto, comprende che il racconto volge al termine, ma non certo l’immaginazione dei presenti, incantati da questo bel racconto, anzi racconti, da queste “geografie del mare”, mi piace definirle, che terminano con una notissima poesia, di Konstantinos Kavafis. Il mio cuore sobbalza perché è proprio il libro dell’autore che ho scelto di portare anche io. Perché Itaca, nella sua folgorante bellezza si può definire un luogo dell’anima, visitandola e guardandola con gli occhi più “educati” dopo questo lungo viaggio. “Perché essa è materialmente e metaforicamente il sogno coltivato, quello a cui tendere, l’ultima tappa del viaggio, il punto che chiude il ciclo dell’andare e dell’essere. Che non rappresenta solo una meta, ma si fa strumento di conoscenza e ricchezza interiore. Itaca è, dopo averti indotto a godere del resto, l’ultima meta di un percorso, l’ultima pagina di un libro, l’ultima nota di una composizione musicale, l’ultimo respiro di una vita”.
Ora Uascezz ed il suo comandante si riposano, l’una lentamente cullata dal mare e l’altro fumandosi un buon Antico. “Per noi, invece, è ora di passare a cose più serie”, ammicca l’ingegnere ringraziando i presenti e trascinando con se’, sul molo, i soliti fumatori.
Altre letture e buoni libri ci attendono. Grazie Vincenzo!
II PARTE – INTERVENTI
Difficile, dopo la crociera, il passaggio ad altre letture sul tema. Ci sembra di stare ancora “Navigando”…
Dalla Geografia tout court (cfr, primi articoli Laterziane sul nostro blog) o meglio dal viaggio nella geografia, siamo passati grazie alla bravura di Vincenzo Sassanelli, velista di lungo corso, alla “geografia del viaggio”, e, da Donne in Corriera quali siamo, non vogliamo fermarci, almeno con le letture!
A questo ci pensano i partecipanti e provo dunque a citare gli intervenuti cronologica-mente.
Presentato da Valeria Grasso, un medico psichiatra di origine greca, APOSTOLOS PAPAZACARIAS, ci parla di Nikos Kazantzakis, un poeta, scrittore e filosofo greco che ha segnato la letteratura contemporanea con alcune sue opere, diventate famose anche attraverso il grande schermo. Il suo pensiero originale, distinto per il contrasto tra l’identità greca e quella europea, tra la cultura occidentale e quella orientale, tra la fede e l’ateismo, tra l’uomo contemporaneo e quello antico, ha influenzato tanti scrittori recenti ed attuali. Diverse sue opere furono vietate nel mondo ortodosso ed in quello cattolico, successivamente comunque rivalutate positivamente. Per quanto sia stato colui che ha tradotto la Divina Commedia in lingua greca, non tutte le sue opere le troviamo tradotte in italiano.
Prima di concludere la piacevolissima presentazione, addolcita dal suono greco dell’eloquio, ci consiglia alcune opere, come, l’ Odissea. Ed i seguenti libri:
– Zorba il greco
– Cristo di nuovo in croce
– L’ultima tentazione di Cristo
– Il poverello di Dio
GABRIELLA CARUSO, la nostra Presidente, saluta Apo (così si fa chiamare) e condivide la scelta di Nikos Kazantzakis, Zorba il greco (Crocetti Editore 2011), da cui è tratto l’ omonimo film con Anthony Queen, Alan Bates, Irene Papas (del 1964, regia di Michael Cacoyannis, 7 nomination ai premi Oscar, incluse quelle come miglior Film, miglior regista e miglior attore, e vincitore di tre premi oscar, migliore attrice non protagonista, Lila Kedrova, miglior fotografia e migliore scenografia). Poi continua con: In viaggio con Erodoto di Richard Kapuscinski (Ed. Feltrinelli) e si sofferma sull’omonimo audio libro letto mirabilmente da Marco Baliani che ci fa innamorare del libro e della voce narrante…Infine, Che dice la pioggerellina di marzo. Last but not least, per dirla all’ingese, Le poesie dei libri di scuola degli anni cinquanta, Ed Manni ( include A Zacinto di Foscolo), tanto per non scordarci del nostro passato da scolari.
BEATRICE GRECO, uno dei pilastri della nostra associazione, suggerisce Petros Markaris, scrittore nato a Istanbul, di origine armena ma successivamente naturalizzato greco, che ha creato il personaggio del commissario Kostas Charitos, definito dalla critica internazionale il “Montalbano di Atene” per la vicinanza col personaggio di Camilleri. Ci mostra il libro Prestiti Scaduti, un’indagine del commissario Charitos , dove, insieme ai vari personaggi, ruotano i suoi colleghi, la sua famiglia e in primis la città di Atene, resa comunque una protagonista del libro, con i suoi eterni ingorghi, la burocrazia, la corruzione di cui Markarīs descrive puntigliosamente i percorsi, con la precisione di itinerari turistici.
Dal pubblico si invita l’artista GRAZIA IACOBBE, che porta con sé non libri ma un bellissimo quadro, una delle sue tele, e ci illustra, prima di sorprenderci con i suoi colori, la sua poetica:”quando ho letto sull’articolo della Gazzetta che si sarebbe parlato della Grecia e della civiltà greca mi è venuta alla mente una delle tele dove avevo inserito dei reperti archeologici di antiche civiltà e libri. Qual è il nesso? L’importanza delle arti nella vita dell’uomo. Penso che le arti, musica,danza, poesia, pittura, siano insieme a quello che ci rimane delle antiche civiltà, che nei nostri viaggi andiamo a visitare e che dobbiamo proteggere e tramandare alle future generazioni, i veri testimoni del nostro passato. Noi oggi rileggiamo testi scritti anche mille anni fa, ascoltiamo musica composta 300- 400 anni fa, estasiati ammiriamo dipinti, i nostri sensi coinvolti in un passo di danza… e così mi piace pensare, continueremo a fare ancora per tanto tempo nel tempo senza tempo”, che è il titolo della sua ultima mostra presentata a Bari (nda).
Segue MARIELLA FANCIANO, con la passione e il sorriso che la contraddistingue, che ci legge la poesia di Laura Ruzickova sempre sul tema:
Isola greca
Il tuo cielo turchese,
gli abbaglianti
intonaci bianchi,
lo scarlatto
delle bouganvillee,
rubati,
frammentati,
sparpagliati,
imprigionati
nelle cartoline,
ritrovano vita
nello specchio
color cobalto
del mare.
Nei fili argentei
dei sontuosi
baffi
di un vecchio,
ancora
si riesce a trovare
un arcobaleno,
e l’ouzo,
ghiacciato,
che lui beve,
è una piccola
perla
di nebbia.
E quando si parla di poesia arrivano anche le poetesse in carne ed ossa. Nella fattispecie MARGHERITA DIANA, alias Letizia Cobaltini (nome d’arte quando scrive) ci presenta con la sua voce soave il libro Mito classico e poeti del ‘900, testi e antologia poetica a cura di Bianca Sorrentino ed. Stilo 2016. Un libro che racchiude in un unico percorso accurato, sensibile, di continua analisi e confronto, una carrellata di poeti ed autori illustri del secolo scorso fra i quali: Pier Paolo Pasolini, Marina Cvetaeva, Jorges Louis Borges, Cesare Pavese, Wislawa Szymborska, che hanno reinterpretato in chiave moderna le antiche e mitiche leggende. Si legge nella presentazione che: “il mito è una grande metafora dell’umanità e forse è per questo che sono stati sempre i poeti a custodirlo.” E, ancora: riconoscere l’importanza del mito in questa “epoca che non ha più miti ed eroi” ed alla quale “restano solo le star” diventa un esercizio intellettuale e sociale più che mai necessario per andare incontro ad un “bisogno innato” di ogni civiltà. La lettura prescelta per l’occasione è una poesia di Alda Merini dedicata al mito di Dafne la “bellissima ninfa figlia del fiume Peneo” che, per sfuggire all’infuocato Apollo, con l’aiuto del padre, si trasforma in un albero di alloro che poi è proprio il significato greco di dàphne, e, da quel momento, i rami di alloro intrecciati sul capo diventeranno l’ornamento dei condottieri e dei poeti. Ovidio ne parlerà nel primo libro delle Metamorfosi, scrive la Sorrentino, e successivamente il Bernini dedicherà all’episodio mitico il meraviglioso gruppo scultoreo che tutti conosciamo. La nostra poetessa-relatrice prosegue leggendoci la chiusa del libro per comunicarci la personalità e l’afflato intellettuale e poetico dell’autrice, Bianca Sorrentino, una nostra conterranea che forse presto conosceremo.
ROBERTA MONACO, chi scrive, ci riporta all’attenzione il grande poeta greco Costandinos Kavafis, peraltro citato dal relatore con la notissima Itaca,struggente poesia sul senso della vita concepita come viaggio (che compare in una delle diaposive mostrate a supporto della bellissima relazione, anzi “doculezione”). Leggo per l’occasione due brevi ma intense poesie. La prima, Candele, in realtà è una poesia che si trova in una personale silloge (Monaco R., Oltre le distanze, poesie prose rifugi della mente, Stilo, Bari, 2012, p.194), in memoria di mio padre, la seconda poesia invece, dal titolo Torna, è un pretesto per citare il bellissimo libro con testo greco a fronte di Kavafis,C.,Poesie d’amore e delle memoria, Newton, 2006, p.117) che mi piace riportare:
Torna
Torna spesso e prendimi,
amata sensazione torna e prendimi –
quando si risveglia la memoria del corpo
e l’antico desiderio penetra nel sangue;
quando labbra e pelle ricordano
e sulle mani è ancora viva la sensazione di toccare.
Torna spesso e prendimi la notte,
quando labbra e pelle ricordano…
E a proposito di ricordi: prossimo appuntamento di lettura, dopo la premiazione del concorso Comunicare la Letteratura, il 26 maggio, Officina degli Esordi ore 17, con l’immancabile Andrea Kerbaker (V. articolo di Livio Costarella su Gazzetta del Mezzogiorno il 23.5), e per finire
Le letture in coppia, il 21 giugno, ultima tappa delle nostre …avventure prima dell’estate!!!!
